BREXIT Settembre 2022

Sergio Romano nella sua rubrica del Corriere che titola: Il passato imperiale che non passa, scrive “come a un certo punto sia cresciuta nella società inglese una corrente convinta che il Paese avrebbe dovuto rinunciare ai suoi sogni imperiali per divenire una semplice potenza europea…Ma che la decisione non piacque agli inglesi che ancora non volevano rinunciare allo status di potenza imperiale…La parola d’ordine allora divenne “Brexit”, che dette il nome a un partito politico che infine prevalse su ogni altra corrente europeista”.

Negli anni Settanta sono stato vicepresidente dei sindacati agricoli europei a Bruxelles e ricordo bene la correttezza dei sindacalisti inglesi, i quali però si comportavano come dei semplici osservatori riguardo le vicende politiche interne alla Comunità europea. E credo che le cose andassero così anche a livello politico. Trascorsa la mia lunga esperienza sindacale, mi è capitato di chiedermi: perché gli inglesi inscenarono il grande casino che li condusse prima ad entrare e poi uscire dalla Comunità?

La mia risposta parte dalla premessa che negli anni Settanta i partiti socialisti-socialdemocratici europei -certo non soli – parevano intenzionati a costruire una Comunità europea in grado di rappresentare un polo forte e coeso nel mondo globale. A mio avviso, l’establishment della Gran Bretagna voleva evitare che questo processo andasse a buon fine, e dunque gli inglesi entrarono nella Comunità con questi intendimenti. Ma fu tempo perso, perché come poi i fatti avrebbero dimostrato, la Francia e la Germania non erano intenzionate a perseguire un tale grande obiettivo politico, ma piuttosto quello di rafforzare le loro economie e i rispettivi ruoli politici dominanti all’interno della Comunità, lasciandosi le mani libere su tutto il resto; cosa che è loro perfettamente riuscita. Se gli inglesi avessero analizzato meglio la situazione, forse si sarebbero comportati diversamente.

Certo questi processi politici-economici-sociali durarono molti anni; la Brexit pose la parola fine. Dunque la suesposta sintesi ha il solo scopo di cogliere il senso profondo degli avvenimenti storici.

Infine ricordo come i rapporti con i sindacalisti francesi e tedeschi fossero molto buoni. Ma non si può tacere che quando si intendeva andare oltre le posizioni da assumere sulle questioni contingenti via via in discussione, loro divenivano d’un tratto sordi. E questo accadeva, ad esempio, quando si proponeva di avviare gradualmente un processo di unificazione della contrattazione a livello europeo. “L’amarezza” espressa dal grande sindacalista Bruno Trentin nelle sue memorie uscite postume, sono certo che si riferisse proprio a un tale atteggiamento.

Quanto alla situazione attuale di noi italiani, mi viene in mente l’episodio dei Promessi Sposi in cui Renzo si reca dal dottor Azzeccagarbugli tenendo per le zampe quattro capponi, che “s’ingegnavano a beccarsi l’un l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Che Dio salvi l’Italia, visto che noi italiani non ci riusciamo.

Mario Mezzanotte